Inferno

Sono le tue splendide figlie lasciale andare e consegnati ai colleghi, potrai tranquillamente parlare, fallo, stai sereno“.

Fai un gesto di coraggio, lascia le ragazzine e consegnati”.

Lascia le bimbe. Apri quella porta e lasciale vivere. Te lo chiediamo, pregandoti. Devono vivere. Lasciale subito“.

Sono alcuni dei messaggi comparsi nel corso di questa mattina nella bacheca della pagina Facebook di Luigi Capasso, carabiniere che si è barricato nel suo appartamento a Cisterna di Latina dopo aver sparato alla moglie in garage, e dove lì ha ucciso, dopo una mattinata di inutili ed estenuanti trattative, le sue due figlie: una di 8 e l’altra di 14 anni. La moglie è stata soccorsa dai vicini, ora è gravissima in ospedale. Non stavano andando bene le cose tra marito e moglie, apprendo dall’ANSA: si stavano lasciando, per questo hanno litigato, all’inizio di questo giorno maledetto, in quel garage. Non lo voglio nemmeno immaginare cosa potrebbe provare quella madre, se dovesse sopravvivere. E sinceramente, mi vergogno un po’ a dirlo, non so se augurarglielo.

Dovevano vivere. Due parole che continuano a rimbombarmi nella testa, perché sì, dovevano vivere.

Martin Heidegger, filosofo, diceva che siamo fatti per morire. Il che è vero, senza dubbio: prima o dopo capiterà a tutti noi e il nostro corpo è programmato anche a questo, anche per morire. Ma forse sono più veritiere le parole di un’altra filosofa, anche scrittrice, Hannah Arendt. Lei diceva che siamo fatti per vivere.

Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Paura o speranza. Fine di una vecchia vita o inizio di una nuova. Amore o odio. Vita o morte.

È questa vita e questa morte a cui tutti siamo chiamati, a fare da centro nevralgico di questa storia di schegge impazzite, di ordinaria follia, successa stamattina a Cisterna di Latina.

Immagino una casa, quella in cui vivevano, simile a tante altre, e dove succedono tutte le cose della vita. Quelle mura che respiravano quotidianità, piccole banalità, risate, cene, colazioni e merende, i compiti delle bambine, magari screzi, litigi per nulla, le serate davanti alla tv e un matrimonio al capolinea. Tutto questo, adesso, non conosce che l’odore dell’inferno.

Perché doveva per forza esserci stato un inferno, là dentro, ci doveva per forza essere stato un demone dentro quell’uomo se è arrivato a fare questo. Gli spari sono arrivati dopo ore lì dentro con loro; non nell’attimo di un raptus.

Non riesco a dare un’umanità a tutto questo. O forse l’umanità c’entra e anche troppo?

Le tragedie greche, la mitologia, la storia e la cronaca ci insegnano di quante efferatezze il genere umano possa essere capace. Non conosco bene come vorrei la mitologia greca, ma conosco la vicenda di Medea, che è la più famosa. Le tragedie greche non parlano però solo di pazzia e di raptus; forniscono sempre qualche motivo  – che non è alibi, ma almeno è un modo per capire il perché si è arrivati a quel gesto, anche se resta comunque inaccettabile e ingiustificabile.

Non so se qui c’è un motivo davvero valido, e non credo di poterlo capire, figuriamoci giustificare, per quanto io possa provarci. Ma è successo. Non trovo un senso, sono arrabbiata: quelle bambine dovevano vivere e basta. Otto e quattordici anni. Ci pensate, a quanti giorni e quante cose dovevano e potevano ancora fare, quelle bambine?

Quando succedono fatti come questi, agghiaccianti e laceranti, abbiamo paura. Di quel lato oscuro e proibito, quella voragine nera senza fondo e senza appigli che in un giorno di ordinaria follia improvvisamente si apre dentro di noi e tra le mura delle nostre case più o meno tranquille, dove fino al giorno prima guardavamo indisturbati la tv sul divano, litigavamo per niente, preparavamo colazioni.

Ma noi possiamo fare in modo che non succeda? O è sempre colpa del raptus, della pazzia, dell’ordinaria follia umana nascosta nell’angolo più recondito del nostro animo?

O possiamo curare le mattonelle di quel pavimento, avere l’umiltà di chiedere aiuto, e far sì che nessuna crepa diventi mai una voragine così spaventosa, lasciando quei demoni lontano da noi, nel loro inferno?

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