Appena prima del Big Bang (come nasce un romanzo, secondo me)

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Come nasce un romanzo? O meglio: come nasce il tuo romanzo?

È una domanda che mi hanno fatto spesso, forse la stessa domanda che porrei anch’io ad altri scrittori, qualora se ne presentasse l’occasione. C’è una genesi nella scrittura, e credo che ogni caso vada considerato a sé. Per questo non è una domanda scontata, ma interessante.

Ognuno ha una sua genesi, ma forse (farò un sondaggio, prima o dopo) c’è un filo che ci lega tutti. Quando nasce una nuova storia c’è una forza che spinge il “dentro di noi” verso il “fuori di noi”. Anche perché sennò, chi me lo fa fare di scrivere? C’è quindi questa forza, questa necessità, questo bisogno interiore di dare voce. Ma a cosa?

Altra domanda – legatissima alla prima – è: nascono prima i personaggi o prima la storia? Prima la storia, of course. Ma c’è qualcos’altro che arriva ancora prima (appena prima) della storia, e sono le emozioni. Emozioni e storia sono direttamente connesse.

Proprio così. Un romanzo nasce dalle emozioni, o meglio dalle esperienze emotive, che hai necessità di esternare, raccontandole e intrecciandole in e con una storia e attraverso dei personaggi e quello che a loro accade, per loro mano o per mano del Fato.

Et voilà. Ecco come nasce un romanzo (secondo me).

Nel mio caso, con La prima ora del giorno, è stato un po’ diverso: avevo già una storia, che era quella di nonna. Ma non ne ho fatto una biografia, ne ho fatto un romanzo. Da una parte questo ha facilitato il lavoro, dall’altra è stato un ostacolo.

Devo però dirvi cosa intendo per emozioni. Più che un significato, certa che tutti abbiate sottomano un vocabolario e che in questo caso nemmeno serva, cercherò di darvi un’idea di cosa intendo. È il momento appena prima del big bang. Ed è il motivo per cui passa in secondo piano e di lui nemmeno ci si accorge.

Gelosia, tormento, invidia. Passione, distruzione, autodistruzione. Odio, amore. Cupidigia, ambizione, desiderio, avarizia. Coraggio, follia, paura. Sensi di colpa, vite che sembrano gabbie, voglia di scappare, necessità di rinascita e ostacoli. Ricordi, rimpianti, occasioni sfumate, perse e occasioni da prendere. Cambi di rotta, cambi di vita, che alla fine ci cambiano, ci trasformano…

Sono elementi primordiali.

Sono i personaggi poi a incarnare le emozioni. Ecco per esempio che Zoe è ambiziosa, determinata. Vuole emergere e per farlo sacrifica tutto, o, per meglio dire, la cosa più importante: sé stessa. È una persona corretta, pulita, ma dura, granitica. È resiliente, forse troppo. Pretende da se stessa, deve dare sempre di più. Deve dimostrare di saper dare di più. Zoe è uno specchio per tutti coloro che si sentono un po’ persi, anche se il lavoro c’è, anche se i riconoscimenti ci sono. È il riflesso della contemporaneità, che ha perso di vista le cose più importanti, che poi sono le più elementari, quelle che ci spettano di diritto, ha perso il contatto, la connessione con la parte più profonda di sé, con il tempo buono e silenzioso, con le cose vere e autentiche, anche se per riappropriarcene dobbiamo rinunciare a qualcosa di materiale. Quelle cose semplici che la società contemporanea ha cancellato a colpi di appuntamenti in agenda, scadenze, risultati da dimostrare per vedersi riconosciuto il proprio valore. Schiacciandoci e opprimendoci, anche se davvero noi non ce ne accorgiamo nemmeno. Perché non lo sappiamo, non lo capiamo. Zoe rappresenta la ricerca del sé per le giovani donne in carriera dei nostri giorni. È la storia della riscoperta, della riappropriazione dell’autenticità.

Ed è lì che entra in scena la nonna, che incarna invece il suo passato…

Ecco, è così che ho voluto dare voce (anche) a tutto questo mondo contemporaneo imperfetto, fatto di emozioni imperfette, attraverso la storia di nonna, e attraverso quella di Zoe.

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