Agosto (quando meno te lo aspetti)

Agosto era il momento che Carlotta preferiva perché la città si svuotava.

Le macchine si contavano su una mano o forse due, i parco giochi erano deserti e le strade tutte per lei. Quelle persone indaffarate che incrociava abitualmente con lo sguardo dalla sua bicicletta erano ad affollare qualche altro posto: al mare, in montagna, in campagna, oppure a casa. Nel cielo quella mattina presto c’erano striature di nuvole bianche e grigie, quel tanto che bastava per rendere particolarmente gradevole la sua pedalata mattutina.

Era andata a prendere il pane e a consegnare un capo in tintoria: la settimana seguente, quella di Ferragosto, avrebbero chiuso entrambi, e a quel punto la città sarebbe stata davvero deserta.

Una città fantasma, silenziosa. Ci trovava un’assonanza paradossale con quei giorni quando nevica, a dicembre o forse a gennaio, ché la neve diventa una coperta che attutisce i rumori e tutto quanto e sembra dire al mondo “piano, piano, silenzio, silenzio”. Così anche le sue giornate preferite in agosto sembravano dire a lei e al mondo che si era svuotato “piano, piano, silenzio silenzio”. Le piaceva trovare contrasti assurdi, con cose che non hanno niente in comune: erano interessanti.

Carlotta passava il suo sguardo da un posto all’altro, dalla ringhiera del parco dove dentro non c’era nessuno, a quella della strada davanti a sé, piacevolmente sgombra dalle tante macchine, motorini, furgoncini. Pedalava su quello che in molti definivano un catorcio arrugginito, nel quartiere di periferia di quella città del nord dove abitava.

Ma quello non era un catorcio: era vecchia, sì, anche arrugginita, è vero. Ma ci era affezionata. Era la bicicletta di sua nonna, quella, e non se ne sarebbe mai separata. Neanche quando si sarebbe rotta definitivamente e nemmeno Mario, che lavora al negozio di biciclette, avrebbe più potuto farci niente. Carlotta allora pensava che l’avrebbe magari dipinta di un azzurro color del mare, quell’azzurro un po’ verdognolo che piaceva tanto a lei e che piaceva tanto anche alla sua nonna.

L’aveva sognata, quella notte. Era tanto che non la sognava. Nelle mani morbide e raggrinzite chiuse a coppa teneva delle more e le offriva a lei. E le diceva qualcosa, ma non ricordava cosa. Era solo la sensazione di un posto sicuro, quella che Carlotta ricordava. Della sua presenza gentile e quella sensazione di protezione. Quella stessa sensazione, ora che un vento leggero le accarezzava i capelli sciolti, sembrava quasi tornare a lei. Quante volte l’aveva consolata, negli ultimi tempi. Ma lei era sempre distratta, era sempre triste, troppo occupata a soffrire per relazioni nate male e finite peggio, o che iniziavano e finivano così come niente. Troppo stupidi quei ragazzi in cui incappava, che però lei vedeva come degli dei. Troppo innamorata lei, che finiva sempre a fare da zerbino al falso dio di turno.

Finché ci sono negozi di cappelli in giro, ci sono anche uomini”, le diceva sempre. E le diceva anche che “quando meno te lo aspetti troverai un ragazzo che terrà a te”. E poi sembrava dettare al futuro della nipote, con il dito indice alzato: “Per te ci vuole un ragazzo di qualche anno di più, che sia gentile, che ti rispetti e che sia un po’ di altri tempi”.

Negozi di cappelli non ce n’erano più. Ragazzi che ci tenevano a lei non ce n’erano in fondo mai stati. Forse solo per un po’ e neanche per davvero.

Duravano di più quelle nuvolette innocue, e pedalare non era mai stata così una meraviglia, così Carlotta assecondò il “piano, piano” di agosto (che poi era anche quello di dicembre o forse di gennaio).

E andò più piano, fece la rotonda e inforcò la strada di casa e passò di lato a quel ritaglio di verde incolto e selvaggio: negli anni ’90 ci dovevano costruire qualcosa – nessuno aveva mai saputo cosa – e invece poi non se n’era fatto più niente. E d’improvviso lo vide: un cespuglio di more! Carlotta neanche ci pensava più alla strada, le cicale a fare il loro concerto, nessun rumore, solo quelle more a farle l’occhiolino, come quelle che aveva sognato, forse poteva fermarsi e prenderne qualcuna, ma cosa ci faceva un cespuglio di more in quel quartiere di periferia di quella città del nord…

La macchina non l’aveva sentita arrivare. L’impatto non fu violento, ma ci fu. Successe una cosa strana: tutto avvenne alla velocità della luce eppure lei percepiva ogni suo movimento al rallentatore. Perse l’equilibrio, fu in aria, sapeva che presto sarebbe caduta, ma come sarebbe caduta? Ecco, adesso cadeva. E in un momento era a terra, il sedere che già pulsava.

“Ti sei fatta male? Oddio scusami, non sono riuscito a evitarti! Stai bene?”

Carlotta si ritrovò davanti all’unico superstite di agosto, come lei. Solo che lei aveva un vestitino leggero a fiorellini preso al mercato e lui era in camicia bianca e completo blu, vestito di tutto punto pronto per andare al lavoro, come in un qualsiasi giorno di settembre, o forse di ottobre. Visti assieme, sembravano un contrasto assurdo.

Non era particolarmente bello, ma la colpirono quei suoi occhi azzurri color del mare, quell’azzurro con un che di verdognolo.

Aveva su per giù la sua età, magari qualche anno di più. La guardava e le tendeva la mano. La aiutò a rialzarsi, anche se non ne aveva bisogno.

“Ti sei fatta male? Chiamo subito il 118. O ti ci porto io, in ospedale. Mi dispiace… sono desolato.”

Non aveva nessuna colpa, era lei che era sbandata a sinistra, distratta dalle more e dalla fatalità di averle sognate tra le mani di sua nonna. E poi non si era fatta niente, alla peggio avrebbe avuto un livido sul gluteo sinistro.

“Sicura che non ti sei fatta male? Insisto per accompagnarti a casa e questo  è il mio numero di telefono, caso mai servisse”, disse allungandole un bigliettino da visita”.

Lei stava bene: era la bicicletta che sembrava conciata male. La ruota davanti, deformata. Lui seguì il suo sguardo sulla bicicletta.

“Se ne trovano poche così: è vintage. Bellissima. La farò aggiustare e sarà come nuova, ci penserò io, è il minimo… Piacere, comunque, io sono Gualtiero”, disse stringendole un po’ di più quella mano che non le aveva mai lasciato.

Il suo modo era gentile e il suo nome era di altri tempi.

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