L’araba fenice – intervista a me stessa

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È da un po’ che non scrive sul blog.

Lo so, sono terribilmente incostante.

Qualche problema?

Diversi, per la verità.

Non ci interessano i suoi problemi personali, solo quelli di scrittura.

Ah, peccato, ci sarebbe un sacco da dire sugli altri problemi.

Una cosa alla volta, Martellato. Ora ci parli dei suoi problemi di scrittura.

Negli ultimi mesi mi sono concentrata sulla scrittura del terzo libro, che mi ha dato un bel filo da torcere. È stato un libro difficile, non perché sia complicato o cervellotico o pesante (sia mai, in quel caso cambierei mestiere ancora prima di iniziare a scriverlo), ma perché io sono diventata molto più esigente. La storia poi è densa, un’architettura più complessa. Un lavoro importante che spero vi piacerà e che faccia il suo lavoro.

Quale?

Be’, un libro deve lasciare dentro qualcosa. Un semino, se non altro. Poi magari può restare lì e non crescere, ma intanto quel semino c’è. È una presenza certa. O forse cresce e diventa qualcosa. Una domanda, oppure una risposta, chi lo sa.

I libri non danno risposte, devono aiutare a farci delle domande.

Però a volte qualche risposta la danno. O, per essere più precisi, un’indicazione.

Così va meglio. Ci parli delle indicazioni.

È come aprire porte che prima erano chiuse. Un libro fa questo, apre porte, oppure le socchiude, oppure ancora le spalanca e allora cambia tutto.

Cosa c’è dietro quelle porte?

Luce.

Mi sembra piuttosto semplicistico ed edulcorato. Non le considera mai, le ombre?

Come no, nel terzo libro ce ne sono tante. È solo che le ombre sono così presenti e ci consumano ogni giorno, che ci si dimentica della luce. Nel Nido c’è un ragazzo morto, forse suicida. Una madre che ha cristallizzato il passato nel tentativo di tenerlo in vita. Una sorella che ha preso il suo posto che ora è una donna e si è annullata per seguire un uomo sbagliato per lei. Un ragazzo ora uomo che è riuscito a dare una svolta alla sua vita, ma paga ogni giorno la sua colpa. Mi sembra ci siano abbastanza ombre. Ma poi c’è la luce, che entra da quella porta. Ed è giusto guardare in quella direzione.

È già arrivato il momento di promuovere il terzo libro?

No, non so neanche se si pubblicherà.

Mi faccia il piacere. Lo dice per scaramanzia?

Guardi che sono seria. Il mondo editoriale è strano. E io non do nulla per scontato.

E qui mi sa che torniamo ai problemi personali. Sbaglio?

La vita mi ha da sempre dato delle belle lezioni, mi ha forgiato e mi ha abituato a non dare nulla per scontato. Però lo sa che io i miei problemi personali tutto sommato li ringrazio? Sono sempre una grande fonte di ispirazione.

Da dove parte per scrivere una storia? Da quelli?

Dal tema.

Ovvero?

Be’, sono temi che mi interessa sviscerare, approfondire, radiografare e poi ricomporre in storie e in personaggi che li rappresentano.  In “Il nido delle cicale” i temi erano il senso di colpa, l’autosabotaggio, la paura di prendere decisioni che possono sconvolgere la nostra vita ma che vanno prese. E ancora, la resurrezione (non del corpo, solo Uno ci è riuscito, ad oggi, e già in quattro ne hanno scritto). Tutti noi siamo arabe fenici, ma dobbiamo esserne consapevoli e lasciare andare le zavorre (ciò che ci nuoce, che ci uccide piano piano, ci smaterializza, ci soffoca). Spezziamole quelle catene all’araba fenice e lasciamola spiegare le ali.

Questa dell’araba fenice ci piace. Ne ha mai parlato prima con qualcuno?

Intende con uno psicanalista? No.

Con un giornalista.

Figuriamoci. È solo con Lei che ho abbastanza confidenza. Tutte le recensioni (mica pagate, eh) che sono uscite sono state positive, molto. Più che per il primo: anche se La prima ora del giorno resta in un posto speciale, questo, seppure abbia una trama molto semplice, ha una scrittura più matura e tratta dei temi scavando di più. Solo qualcuno l’ha liquidato così, come una “una tisana da bere la sera in poltrona, piacevole ma nulla di più” (cosa per altro molto lusinghiera per me: dopotutto abbiamo anche bisogno di quello), senza interrogarsi sui temi di fondo. Anzi, sbagliano pure a parlarne, citando il tema del rimorso e il rimpianto, ovvero “il tradimento del marito” (ma quale marito? E comunque, rimpianto di cosa?).

Secondo lei questo perché succede?

Ci sto ancora ragionando. O non c’è un interesse per il libro, o semplicemente c’è più interesse per altri, a ragione o meno. Ci sono tantissimi libri stupendi, scritti molto meglio… è ovvio che non ci si può fermare al mio. Ma è solo un’idea, forse una ragione non c’è. Come è giusto che sia, ognuno si fa la propria opinione ed è sacrosanto (solo dico, una volta che ne devi parlare, vedi almeno di leggerlo davvero, senza pregiudizi o preconcetti. Scusi lo sfogo).

Ci mancherebbe. Potrei dare un taglio interessante a questa intervista, tipo “la rabbia repressa dello scrittore”.

Ah, così lei è uno di quei colleghi che amano dare tagli polemici… Le ricordo che questa intervista non le farà vendere niente: non sarà in nessuna edicola. Comunque, sul serio: non è mia intenzione commentare le critiche. Le critiche non si commentano. È una mia regola, ma faccio fatica a rispettarla.

Quindi ha commentato? Lo riconosce.

Ho solo messo i puntini sulle “i”. E poi si sa che sono permalosa. Detto questo, a me interessa che le critiche arrivino dai lettori. Io i libri li scrivo per loro, non per le classifiche. Come dicevo, un libro può anche non piacere, dalla stilistica alla trama, ai temi trattati, ai personaggi. Per me contano di più i giudizi dei lettori, positivi o negativi che siano non fa differenza, non mi importa: perché tutto aiuta a farti crescere come scrittore e ad affrontare nel modo giusto le storie.

A proposito di classifiche e lettori: Robinson. Il Nido delle cicale è arrivato secondo al Torneo Letterario. Contenta?

Accidenti, sì! Mi sembra di aver vinto lo Strega.

Addirittura.

Ma davvero. Ci pensi un attimo: il libro è uscito un anno fa, secco secco. Non ha avuto vita facile, perché tra la pandemia, i lockdown e altre cose, non mi sembrava fosse stato considerato dai lettori. Niente presentazioni, poche online, festival figuriamoci, quelli manco in presenza, tranne quel meraviglioso Festival del libro possibile. Insomma, non avevo percezioni di alcun tipo.

Invece.

Invece i circoli di lettori non solo l’hanno considerato a un anno dalla sua uscita, tra 125 titoli più blasonati e meglio esposti del mio, ma l’hanno persino premiato: è arrivato secondo.

Adesso non se la tiri troppo.

Ma io non me la tiro, odio l’arroganza. Un po’ di orgoglio però c’è, perché scrivere un libro è un lavorone. Stupendo, ma impegnativo. Il Nido è stato più semplice del primo (e sicuramente del terzo!), è stata una corsa in un campo di grano d’estate, un “bacio in fronte” come l’hanno definito. Quindi sì, è una bella ricompensa, una soddisfazione e un premio, anche. Ma ancora di più sono solo felice per i personaggi e per quello che hanno da dire ai lettori. Perché forse, dopotutto, un po’ ragione ce l’ho.

Ecco che se la tira. Avevo ragione.

Vede? È lei che se la sta tirando.

Ma io lo dico chiaramente che sono arrogante e strafottente. E comunque non stiamo intervistando me, ma Lei.

…Io dicevo che avevo ragione per quel discorso delle porte…

Ah, è vero. Ritiro tutto allora. Che cosa entra dalla porta de ‘Il Nido delle cicale”?

Speranza. Coraggio. Vita, e in modo prorompente e istintivo. La luce del pomeriggio di settembre, quella che ti scalda ma non ti brucia. Entrano i ricordi, anche se fanno male, ma poi soffia un vento dolce che ti spinge a strappare le tende pesanti e scure, a cambiare, a dare una svolta. A diventare un araba fenice.

 

P.s.

Nessuna droga o allucinogeno sono stati assunti per lo svolgimento di questa intervista.

Ogni riferimento è puramente casuale.

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