C’è un momento, quando scrivi una storia, in cui vorresti portare con te tutti i suoi simboli.

I suoi profumi, i suoi personaggi. La sua suggestione. Sei nel bel mezzo di due mondi: quello reale, in cui vivi, e quello che scrivi, a cui sei costantemente chiamata. Quando succede, è pura grazia: non importa qual è la tua storia, non importa qual è il suo genere, e se sai già come andrà a finire. Per quanto tu possa calcolarlo, la forza della storia è comunque più grande di quello che immagini. Così finisce per condizionare ogni momento della giornata.

Mi spiego meglio. Oggi ho visto due Golden Retriever, e so che il cane del protagonista maschile è proprio così, come loro. L’impatto è stato fortissimo: sembrava che quel cane fosse uscito dalle pagine così come l’avevo lasciato (ops, descritto), e fosse lì. Era come se esistesse davvero.

E ancora. Stavo scrivendo, nel pomeriggio, e di colpo mi sono alzata e sono andata a vedere se trovavo una cosa in giardino, volevo vedere se ce n’era ancora una, perché dovevo descriverla (non vi dirò cos’è fino a che non terminerò il libro. Quindi, non chiedete). L’ho trovata. Così, mentre descrivevo quella cosa, quell'”oggetto” nel nuovo libro, la sensazione di essere ancora di più dentro alla storia, a quel mondo fatto di parole, ma non solo parole, era più forte di qualsiasi cosa. Le parole sono solo i mattoni, in fondo. Scrivere è dipingere un mondo intero.

Vorrei che le giornate non avessero mai fine, solo per poter stare ancora un po’ dentro quel mondo, dentro quelle vite e quei posti. Se questo non è possibile, cercherò di portarne un po’ con me. Attraverso un profumo, o magari un pendaglio, se lo troverò, che me lo potrà ricordare, oppure ricordandomi di quel cane quando incrocerò di nuovo un Golden Retriever…

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